Un incontro importante

Di Riccardo Cassiani Ingoni, Insegnante del Metodo TRE

Il mio coinvolgimento con il metodo TRE comincia nel 2006 a Phoenix, in Arizona. Da sei anni vivevo negli USA dove lavoravo come dipendente del governo americano presso il centro di ricerca National Institues of Health (NIH) a Bethesda. La mia passione è sempre stata la biologia e in special modo la neurofisiologia e i meccanismi genetici e immunologici che contribuiscono alla genesi delle malattie neurodegenerative.

All’NIH avevo un contratto di ricerca nell’ambito dello studio clinico sulla sclerosi multipla, una malattia misteriosa alla cui base si sospetta esserci un contributo significativo anche di fattori psicosomatici derivanti da traumi e stress. Era anche per via di questa apparente connessione tra la malattia neurodegenerativa in generale e il mondo della gestione dello stress che parte dei miei studi personali includevano lo studio teorico e pratico di tecniche di medicina alternativa e complementare rivolte alla gestione delle emozioni e al rilassamento fisico.

Mi accingevo di lì a pochi mesi a rientrare in Italia con un contratto di ricerca presso il Centro di Medicina dello Sport del CONI; uno dei miei principali interessi era quello di applicare alla preparazione atletica le tecnologie sviluppate nel campo del bio-neurofeedback. Ero quindi approdato a Phoenix per seguire un corso intensivo di biofeedback applicato al cervello. Il caso volle che anche David Berceli, ideatore del metodo TRE, seguisse quello stesso corso e mi ritrovai in coppia con lui nella parte pratica del corso, che consisteva nell’applicare elettrodi sulla testa del compagno di lavoro al fine di eseguire un certo numero di sessioni di allenamento delle onde cerebrali. Chiacchierando dei nostri rispettivi interessi lavorativi finimmo per parlare della vibrazione corporea come risposta fisiologica al trauma. Non sapevo ancora che quello fosse il suo pallino fisso su cui basava quasi tutta la sua attività professionale, ma sapevo però che quello era anche un po il mio di chiodo fisso, perché la mia vita adolescenziale era stata segnata da almeno due episodi importanti in cui venni sopraffatto da un tremore convulso che, per un verso mi preoccupò molto, per l’altro mi affascinò particolarmente, al punto da diventare, in seguito, anche in parte oggetto della mia tesi di laurea in Scienze Biologiche e del mio dottorato di ricerca in Neurofisiologia. Per la mia tesi di laurea nel campo della neuroetologia (lo studio delle basi neurofisiologiche del comportamento animale) mi focalizzai infatti sui meccanismi neuronali di reazione ai traumi.

Già da adolescente ero affascinato dallo yoga, dalla meditazione zen, dalla pranoterapia e anche, cosa strana per un quindicenne, dalla bioenergetica, della cui esistenza appresi imbattendomi nel libro ‘Il linguaggio del corpo’ di Alexander Lowen, che lessi con estremo interesse, pensando inizialmente che si trattasse di qualcosa relativo alla ‘bioenergia’ intesa come pranoterapia. Ricordo che nel leggerlo ne rimasi inizialmente deluso per il fatto che non affrontava assolutamente l’argomento della guarigione con l’energia delle mani (della cui possibilità avevo assoluta certezza in seguito ad un episodio di guarigione, per me allora inspiegabile in termini scientifici, di cui ero stato personalmente soggetto anni prima). Ma andando avanti nella lettura di quel libro mi resi conto di essermi invece imbattutto in qualcosa di veramente interessante per un aspirante medico o biologo perchè, in qualche modo, per quanto riuscissi a comprendere a quel tempo, quel testo mi educava sul ruolo delle emozioni e dello stress come una componente tangibile che influenza, unitamente alle influenze genetiche da cui ero affascinato, la maturazione biologica dell’organismo umano. Quel nuovo interesse mi portò poi a leggere gli altri libri di Lowen e poi, più tardi, a sottopormi a sedute di lavoro personale con la bioenergetica. Quando, durante una delle prime conversazioni che ebbi con Berceli, egli fece riferimento ad un suo collega americano pronunciando il nome Alexander Lowen, ne rimasi molto stupito e ad un tratto quell’incontro mi apparve ancora più eccitante e significativo.

Nel campo dell’analisi bioenergetica forse si ritiene che gli esercizi del metodo TRE siano derivati primariamente dagli esercizi di tremore neurogeno praticati nelle classi di bioenergetica secondo Lowen o Reich: ciò non è esatto. Entrambi sono in parte originati dallo studio delle discipline orientali e forse dal tremore neurogeno che spesso si osserva nella pratica del Qui Kung ma, pur essendoci tra di essi ampie similitudini, la sequenza di esercizi del metodo TRE è stata elaborata e sviluppata da Berceli prima e indipendentemente del suo incontro con Lowen, con il quale successivamente David intraprese la formazione per diventare anche terapeuta bioenergetico.

L’apparentemente sottile differenza nell’approccio metodologico alla vibrazione corporea che contraddistingue il TRE rispetto alla scuola bioenergetica diviene evidente e sostanziale in particolar modo nel trattamento dei casi clinici delle sindromi posttraumatiche. Il TRE nasce essenzialmente come tecnica di auto-aiuto di facile implementazione su larga scala, in particolar modo in popolazioni soggette a disastri naturali, ovvero per le vittime di sindromi croniche da stress e generalmente in ambiti in cui l’accesso alle terapie cognitivo-comportamentali e mediche è notevolmente ridotto, se non totalmente assente. In questi ambiti, ma non solo, l’approccio TRE si dimostra di rapida implementazione, di notevole utilità ed efficacia, anche perché con il TRE si fa emergere abbastanza velocemente la componente neurofisiologica legata alle reazioni di attacco-fuga non sufficientemente elaborate dal cervello. Di conseguenza, il TRE si adatta anche perfettamente ad essere affiancato al lavoro clinico psicoterapico. Questo mi divenne ulteriormente chiaro quando, con il TRE, riuscii ad accedere ai lontani ricordi e alle emozioni che forse erano all’origine di alcuni miei schemi comportamentali che non ero riuscito a sviscerare neanche nel corso del mio intenso periodo di psicoanalisi junghiana.

Tornando al mio personale coinvolgimento con Berceli e al mio interessamento al suo metodo, quando ne feci la prima esperienza, una sera dopo le nostre sedute reciproche di neurofeedback, ne rimasi impressionato. Proposi quindi a David di aiutarlo a mettere in piedi un corso di formazione in cui la parte pratica fosse supportata anche da una parte teorica scientificamente fondata. In fondo quello che era sempre stato il mio interesse, ovvero l’approccio scientifico, che era allo stesso tempo, a parer mio, l’elemento debole di molte scuole di psicoterapia anche corporea.

I successivi due anni li passai viaggiando in lungo e in largo per l’Europa, spesso da solo, spesso in compagnia di David, conducendo seminari introduttivi sul metodo TRE. Nel 2008 abbiamo introdotto assieme il metodo in Italia. Quando poi fu ufficialmente lanciata la formazione sul metodo TRE, avevo già riunito un buon bacino di persone interessate in quasi tutti i paesi europei. Mi sono quindi poi occupato in prima persona della formazione di tutti gli operatori TRE in Inghilterra, Scozia, Olanda, Belgio, Svezia, Svizzera, Spagna e Italia, oltre a partecipare al fianco di David alla promozione del TRE in Sud Africa e in alcuni eventi per me molto significativi in California (ad esempio presso l’Esalen Institute di Big Sur) e a Washington DC. In seguito ho contribuito alla selezione e alla formazione di tutti gli altri trainers europei e alla introduzione del TRE presso numerose scuole di formazione in tecniche corporee. Ancora oggi sono molto affascinato dal mio lavoro e dal potenziale terapeutico del tremore neurogeno.

 


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